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Nel grido dei giovani: quali scenari per il futuro?

di ALESSANDRO MANFRIDI

La scorsa settimana a Ladispoli si è svolto un convegno sulle dipendenze e il disagio giovanile organizzato dalle diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia.

25 novembre 2023

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ATTUALITÀ

In apertura dell’incontro l’assessore Margherita Frappa ha ricordato quanto fino a poco tempo fa si ritenesse che le agenzie educative protagoniste della formazione dei giovani fossero fondamentalmente la scuola e la famiglia. Uno studioso diceva: “Per educare i ragazzi ci vuole un villaggio”. È così. Ci vuole una rete di realtà: famiglia, scuola, istituzioni, associazioni che devono intercettare i giovani e prendersi cura di loro. Ogni anno muoiono suicidi 400 giovani, i media non ne parlano per evitare emulazione. Eppure oggi c’è una forma di nichilismo giovanile in coloro che disperatamente sentono di non avere un futuro.

Perciò, per il vescovo Gianrico Ruzza, ascoltare il grido dei giovani significa assumere un compito preciso che come Chiesa e come società dobbiamo svolgere. Purtroppo non ci sono ancora le risposte. Oggi di fatto i giovani sono davvero pochi nelle nostre comunità. Ma di sicuro questo ascolto fa emergere un elemento ricorrente: la tristezza. Molte volte i giovani sono tristi, non hanno la passione per la vita.

Secondo Don Giovanni Carpentieri, prete della diocesi di Roma ed educatore professionale impegnato nell’educativa di strada con l’associazione “Fuori Della Porta Odv”, ne consegue che siamo ad un punto di non ritorno. Abbiamo una fascia di giovani dai 12 ai 22 anni che non arriva da nessuna parte, non arriva alle scuole, ai servizi sociali, al lavoro; arriva o al pronto soccorso o al penale; i centri di giustizia non sanno più dove collocarli. C’è un problema fondamentale che è quello della salute mentale. Risultano diffuse e devastanti problematiche comportamentali e dipendenza dalle sostanze: “noi andiamo ad incontrare le comitive pomeridiane di giovani per le strade una volta a settimana. Andiamo allo stesso muretto, stesso gruppo, per due mesi. Quello che siamo stati capaci di intercettare è veramente allucinante. Questo approccio non è evangelizzazione di strada, non è missione, non è: – ti porto il vangelo -. Se ti metti in questo range di comunicazione dopo tre incontri ti mollano. Per ogni location c’è un approccio diverso: andiamo nelle strade, nelle discoteche. SE NON VAI A CERCARLI NON ARRIVANO DA NESSUMA PARTE E SI PERDONO, MUOIONO. È facile agganciarli. Le cose più difficile vengono dopo. Tu porti delle cose, una merenda, si fermano a mangiare e li agganci, poi ci stanno le carte. Dopo l’incontro, viene il secondo momento, la presa in carico, quando i ragazzi si aprono e ci espongono i loro bisogni, ad esempio quello di fare ripetizioni scolastiche. Il terzo momento è l’accoglienza. Io in casa famiglia non ho nessun profilo istituzionale, sono l’ultimo dei volontari. Il problema è che molti di questi ragazzi non vengono indirizzati alle comunità perché molte volte i SERT per questione di badget non refertano l’uso di quelle che definiscono “droghe leggere”. In casa famiglia non entrano, in comunità non li fanno entrare, dove posso metterli questi ragazzi? Basterebbero 2-3 ore a settimana. I corsi di formazione sono importanti. I professori possono istradare sia gli adolescenti ma anche quei genitori che si fanno le canne con i figli. Andate a consultare le statistiche del Ministero degli Interni. Consultando i dati sugli accessi ai SERT degli adolescenti, è impressionante l’uso e l’abuso che fanno delle sostanze. Nei cannabis shop la grammatura che si vende diventa effetto stupefacente. Le lobby sabotano ogni intervento giudiziario svolto a impedire la commercializzazione della cannabis”.

Incalza don Giovanni: “Quando andiamo a pescare questi ragazzi? Noi dobbiamo stare nelle periferie esistenziali dove il Signore stava, ci sono argini di azione pastorale infinite, possiamo fare di tutto. Gli interventi possono essere a bassa, media, o alta soglia. Gli interventi a bassa soglia sono quando il disagio è presente nella comitiva ma ancora pascola. Gli interventi a media soglia sono i più difficili. Cominciano quando il disagio è tangente in due punti nella vita del ragazzo, sono interventi i più difficili da inquadrare, possono scendere sulla bassa o salire sull’alta soglia. Gli interventi ad alta soglia sono secanti in due punti, il penale e la sanità, il disagio non è più latente ma diffuso in vera e propria deviazione. I fallimenti sono stati tanti, i successi altrettanti. L’itinerario è quello di saper riprendere, come dice Charles Peguy, di iniziare sempre da capo”.

Dopo l’invito finale alla lettura del libro Il funambolo di Jean Genet – per trovare spunti di una pastorale nuova – don Giovanni lancia l’idea di “inventare” nella formazione accademica universitaria una figura professionale di “incontratore sociale”, un lavoro sociale. E propone di istituire un bando. Seconda proposta, secca, per questi ragazzi coinvolti in dipendenze ed evasione da ogni contesto sociale che hanno bisogno di un riordino nei loro bioritmi: servirebbe una ASL che vada un po’ più sul sociale. C’è bisogno di percorsi di educazione alla salute e bisogna farli. Altrimenti i funerali si moltiplicheranno. Serve un villaggio per educare un ragazzo ma il villaggio non funziona, qui dobbiamo cambiare la situazione. I tentativi sempre migliorabili. Dobbiamo fare delle cose nuove. Qual è la speranza l’orizzonte che noi diamo a questi ragazzi?

Non a caso l’auspicio finale del vescovo Ruzza è che possano crearsi vari gruppi di volontari adulti che raccolgano questo invito andando ad incontrare i giovani sulle strade, avendo come riferimento formativo e di coordinamento le Caritas delle diocesi di Porto Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia. La messe è molta, servono gli operai…

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