LO SPIRITO DELLA MEDIAZIONE NELLA FIGURA DI GESÙ DI NAZARETH

Centro Bruner – CENAF – AIMEF

LO SPIRITO DELLA MEDIAZIONE NELLA FIGURA DI GESÙ DI NAZARETH

Tesina per l’esame del Master di Mediazione Familiare “mf 16”

Corsista Alessandro MANFRIDI

Roma, 5 novembre 2011

INDICE
 
 
INDICEpag. 1
  
INTRODUZIONEpag.  2
  
CAPITOLO 1 
I MOTIVI DEL CONFLITTO NELLE RELAZIONIpag.  3
  
CAPITOLO 2 
IL MEDIATOREpag.  6
  
CAPITOLO 3 
LA MEDIAZIONE E LE SUE DINAMICHEpag. 14
  
CAPITOLO 4 
DALLA FUGA ALLA RESPONSABILITÀpag. 22
  
CONCLUSIONIpag. 33
  
BIBLIOGRAFIApag. 35

INTRODUZIONE

Dopo due anni di percorso e di studio, il Master per la Mediazione familiare ha richiesto una tesina per verificare la padronanza degli argomenti.

Le mie consolidate conoscenze in materia teologica coniugate all’apprendimento acquisito in questo biennio in materia di Mediazione Familiare, mi ha consentito di presentare la figura di Gesù di Nazareth come “mediatore”.

Certamente non è possibile parlare propriamente di Gesù come “mediatore familiare”, né della sua attività di maestro e dei suoi insegnamenti come di una vera e propria proposta di mediazione quale si può intendere oggi nello sforzo di tracciare l’identikit di un mediatore “professionista”.

Quello del falegname nazareno è un messaggio religioso che va al cuore dell’uomo, che dà una chiave di lettura dell’intera storia umana e della vita personale, che chiama dunque a una risposta religiosa, che si esprime in termini di “fede”, così come poi storicamente si è realizzata all’interno di quella realtà che dalle radici ebraiche ha portato allo sviluppo mondiale della religione cristiana

 Gesù di Nazareth  continua anche oggi a far parlare di sé credenti e non credenti, ponendo in questione non solo il nostro mondo religioso, ma anche quello personale, familiare e sociale.

Mi permetto di accostare quindi  il contributo che il Gesù storico ha lasciato a tutta l’umanità, alle nostre tematiche di mediazione riconoscendo l’importante profondità del suo agire e lo spessore dei contenuti delle sue parole, ritenendole materiale utile, prezioso e illuminante non solo per una nostra riflessione, ma ancor più per un arricchimento morale, personale e umano nonché stimolo alle ragioni fondanti della nostra stessa deontologia professionale.

CAPITOLO I

I MOTIVI DEL CONFLITTO NELLE RELAZIONI

Homo hominis lupus sosteneva Hobbes nel “Leviathan”.

La fatica nel gestire i rapporti umani, la facilità con la quale si vive l’esperienza del conflitto, il dramma di chi si ripete le stesse domande: “Come mai nella mia vita si ripropongono sempre le stesse situazioni? Come mai ricado sempre negli stessi errori?”, esigono delle risposte.

 La  risposta unica alla domanda sul perché così frequentemente le nostre relazioni arrivano a  deteriorarsi in conflitti spesso profondi e dolorosi va cercata dentro e non fuori di noi.

L’altro è un dono, una possibilità ma è anche un limite alla  libertà e alla  realizzazione dell’Io.

Nella lotta per l’affermazione dell’IO sul TU, del mio io sull’altro, l’IO perde di vista quella che può essere la situazione oggettiva proprio perché guarda le cose solo dal suo punto di vista.

Questo è il punto di partenza della genesi di ogni conflitto.

 Due persone che parlano non necessariamente stanno dialogando; molto spesso si tratta di due monologhi.

 Io sto parlando a te, tu stai parlando a me, ma né io né tu siamo in ascolto l’uno dell’altro:  abbiamo opinioni differenti e siamo preoccupati di esprimere e spesso di imporre il nostro punto di vista, senza curarci di quello dell’altro.

L’assenza della ricerca di un punto d’incontro, latente o palese, porterà necessariamente a  un punto di scontro.

Nella Bibbia ritroviamo un quadro magistrale nella parabola degli operai mandati nella vigna.

 Qui il  punto di vista dei soggetti interessati, la  loro visione della giustizia si scosta totalmente dalla realtà dei fatti perché non guardano alla situazione oggettiva.

Perché? Perché sono coinvolti da sentimenti di sdegno, rabbia, ira, che impediscono di guardare la realtà con giudizio.

Gesù insegna che il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all`alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

      Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dá loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch`essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un`ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest`ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Mt 20, 1-16).

 Il mediatore familiare ben conosce il potere che questi sentimenti hanno nelle dinamiche del confitto, ad esempio, fra i coniugi.[1]

Robert Emery  per quel che riguarda il matrimonio e il divorzio osservando dai rispettivi punti di vista delle parti  ci ricorda che le coppie non vivono un solo matrimonio, bensì due. Le differenti percezioni divengono drammaticamente chiare all’atto della separazione. Quando iniziamo una relazione, impariamo a tollerare le differenze, sia nella realtà, sia nella sua percezione. Anche nel migliore dei matrimoni, a volte si fa buon viso a cattivo gioco. Non sempre diciamo quello che pensiamo, o sentiamo davvero. A volte addirittura mentiamo al nostro partner per non incorrere in emozioni negative, per evitare conflitti, o per proteggere il matrimonio stesso… Noi crediamo che il nostro partner assomigli alla persona che abbiamo, almeno in parte, contribuito a creare nella nostra testa. Questo è quello che la maggior parte delle persone intende quando dice che “l’amore è cieco”… Il divorzio segna il punto esatto in cui il matrimonio visto da lui e quello visto da lei arrivano a una collisione. Cadono tutti i veli e ciascuno vede i difetti dell’altro con abbagliante chiarezza. Forse gli ex coniugi stanno guardando in faccia la realtà per la prima volta.[2]

Il conflitto è sempre un’esperienza dolorosa, che provoca paura, smarrimento, confusione.

. L’esperienza della separazione e del divorzio, ad esempio, è spesso vissuta in maniera drammatica, in particolare dal coniuge che arriva più tardi a vivere gli stadi del divorzio stesso.[3]

 Tuttavia, come ci fa notare la Parkinson,  il conflitto in sé non è positivo né negativo. È una forza naturale, necessaria per la crescita e il cambiamento; la vita senza alcun conflitto sarebbe infatti statica. Ciò che conta è se e come il conflitto viene gestito. Se il conflitto è gestito attentamente, non è necessariamente distruttivo: non implica inevitabilmente la distruzione di individui e  comunità e delle relazioni all’interno e fra di essi. L’energia generata nel conflitto può essere utilizzata in modo costruttivo, anziché distruttivo e, quando i conflitti vengono risolti in modo cooperativo invece che attraverso la contestazione, le relazioni possono uscirne migliorate e rafforzate.[4]

Ciò significa che il conflitto è importante e se gestito con attenzione risulta essere un elemento costruttivo per lo sviluppo e la crescita  stessa della relazione; evitando infatti la contestazione tra le parti bensì suscitando la cooperazione, la relazione ne trarrà benefici ovvero ne verrà rafforzata.

A conferma di quanto sostenuto dalla Parkinson notiamo come anche la stessa etimologia della parola conflitto (cum-fligo), spiega fenomeni ampi e dinamici non definiti negativamente al contrario delle parole inconciliabile ed incompatibile caratterizzate del prefisso in, segno  di mancanza e di privazione.[5]

Da ciò si deduce l’importanza del mediatore che assumendo un ruolo centrale e bilanciato  può portare le parti a riconoscere soluzioni diverse e soddisfacenti per entrambi; è infatti all’interno del processo di mediazione che nasce quella importante possibilità che permette alle parti in lite ma che rimangono legate da vincoli   affettivi e di responsabilità, di risolvere il conflitto in maniera non distruttiva , conservandone così la relazione.[6] 

Importante nella gestione del conflitto è far emergere l’eguale dignità delle parti.

Nel nostro setting in mediazione familiare, abbiamo rilevato come la disposizione delle sedie, l’equidistanza, l’attenzione alle regole permettono di gestire l’incontro di mediazione; il mediatore proponendo già dalla cura logistica dello spazio e dell’ambiente, uguale premura  alle parti  riesce a evidenziare l’eguale dignità.

Gesù, in tal senso, dimostra ottime doti di “esperto” quando racconta la parabola della scelta dei posti.

L’insegnamento di Gesù, in tale occasione, ben focalizza la tendenza di ciascuna delle parti a sopravanzare le altre con la scelta del “primo posto”.

Il Vangelo di Luca infatti ci dice che  Gesù osservando  come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l`ultimo posto. Invece quando sei invitato, và a metterti all`ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato»

(Lc 14, 7-11).

CAPITOLO II

IL MEDIATORE

Il compito del mediatore  è quel processo, sollecitato dalle parti, che la scopo di ridurre gli aspetti distruttivi del conflitto e che sono di disturbo alla comunicazione; l’intervento del mediatore non si prefigge una elargizione di consigli, ma si propone  come strumento idoneo ad  aumentare la libertà e la responsabilità  delle parti [7].

L’intervento educativo del mediatore si propone di  far crescere la libertà e la responsabilità delle parti e ciò implica  il passaggio da una mediazione che ha come oggetto la risoluzione di un problema  a una mediazione  che si focalizza  sulle capacità progettuali e sulle competenze personali delle parti.[8]

L’Antico Testamento, in merito, ci fornisce un’occasione di lettura e di riflessione su questo argomento: In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi. Vide un Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c`era nessuno, colpì a morte l`Egiziano e lo seppellì nella sabbia. Il giorno dopo, uscì di nuovo e, vedendo due Ebrei che stavano rissando, disse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». Quegli rispose: «Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? Pensi forse di uccidermi, come hai ucciso l`Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». Poi il faraone sentì parlare di questo fatto e cercò di mettere a morte Mosè. Allora Mosè si allontanò dal faraone e si stabilì nel paese di Madian (Es 2, 11-15).

Il racconto di Luca ci mostra in parallelo, una Parola diversa di Gesù:   Uno della folla gli disse: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l`eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?» (Lc 12, 13-14).

Il confronto tra la disavventura di Mosè e le parole di Gesù ben ci presenta due opposti atteggiamenti: il primo si addossa il peso delle decisioni, dell’azione e dell’intervento per soccorrere le necessità dei suoi fratelli e  la sua generosità sarà mal pagata.

Il mediatore, lo sappiamo, non deve sostituirsi alle parti, è un “terzo neutrale”, non è “capo e giudice” di nessuno, ma “facilitatore” di relazione tra i convenuti.

Le richieste che vengono dalle parti, quando non legittime,  dunque devono essere respinte e occorre aiutare le parti  a riformulare obiettivi corretti.

La risposta di Gesù in questo brano di Luca, in un accostamento parallelo, ci aiuta a focalizzare il nostro ruolo.

Non siamo deputati a “fare giustizia” rispondendo alle esigenze dell’una o dell’altra delle parti, ma a rimandare al mittente le richieste e le attese che pretendono investire il mediatore di funzioni che non possiede, cioè funzioni prettamente decisionali.

I farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno,perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque dì a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? ».

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: « Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: « Quest’immagine e l’iscrizione, di chi sono? ». Gli risposero: « Di Cesare». Allora disse loro: « Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». (Mt 22, 15-21)

Il mediatore non decide alcunché, bensì propone  alle parti le linee del percorso fino al conseguimento di un accordo che sia da loro accettato e sottoscritto.

La Parkinson ci invita a notare come, nella fase iniziale della mediazione – ma non solo – i tentativi di “triangolazione” da parte di uno dei partner che vengono all’incontro sono un’insidia alla quale il mediatore deve prestare molta attenzione:

Carl Whitaker, noto terapeuta familiare, ha affrontato nei suoi scritti il problema della «lotta per l’iniziativa» e della «lotta per la struttura»: quando cioè i clienti competono tra loro e con il terapeuta, per controllare prima chi partecipa e poi, una volta iniziata la terapia, chi gestisce il processo (Whitaker 1977).

Molti mediatori familiari possono riconoscere le lotte per l’iniziativa e la struttura che hanno luogo nella fase iniziale della mediazione, quando una parte cerca di ottenere l’appoggio del mediatore, prima che sia l’altro a poterlo fare. Quando le coppie pongono fine a una relazione, solitamente, cercano degli alleati, esperti o altre terze parti, i quali rischiano di subire una sorte di «triangolazione» nel conflitto; i mediatori devono essere consapevoli di questo rischio, specialmente se lavorano da soli.[9]

Da un punto di vista biblico e teologico, Gesù è riconosciuto quale unico e primo “mediatore” tra Dio Padre e l’umanità. La “Lettera agli Ebrei” sviluppa questo concetto in maniera chiarissima, stabilendo la superiorità della mediazione di Cristo a quella dei sacerdoti dell’Antica alleanza (cfr. Eb. 8).

Il compito della figura sacerdotale, anche in religioni diverse dal Cristianesimo, è quello di essere un “tramite” tra la divinità e l’umanità, tra il Dio e gli uomini.

 Il sacerdote in tempi antichi e anche oggi secondo rituali tipici di alcune religioni, offre tramite l’attività cultuale  sacrifici, offerte, preghiere a Dio per conto degli uomini e cerca di  trasmette ad essi il responso,la risposta,  ovvero quella che potrebbe essere la volontà ricevuta da Dio.

Questo compito di “mediazione” si è realizzato in maniera nuova, unica e piena, con Gesù Cristo, secondo quello che i testi biblici trasmettono, proprio perché, a differenza  ad esempio dei sacerdoti antichi, che dovevano offrire sacrifici per i propri peccati oltre che per quelli del popolo (Eb 5, 3), non avendo Egli peccati per i quali chiedere perdono, in quanto Dio lui stesso, si fa, oltre che sacerdote-mediatore,  vittima sacrificale lui stesso, prendendo i nostri peccati su di sé.

In forza della consacrazione battesimale, primo tra i sacramenti istituiti da Gesù,  ogni cristiano partecipa, essendo misticamente unito a Cristo come i tralci alla vite, ai tre munus di Cristo: profetico, regale e appunto sacerdotale.

Ogni cristiano è dunque abilitato, per merito del  sacramento del battesimo, ad esercitare la funzione sacerdotale cioè farsi tramite,  ovvero mediatore tra Dio e gli uomini, tra gli uomini e Dio. È chiamato, cioè, a portare le necessità dei suoi fratelli a Dio con l’intercessione della sua preghiera;  a portare la luce dell’amore di Dio  perché Dio è luce, Dio è amore (1Gv 1,5; 4, 8) con l’annuncio, la predicazione e la testimonianza della Parola di Dio ai suoi fratelli.

Essere mediatori significa mediare tra le parti, aiutarle a mettersi in reciproco ascolto, ad aprire un dialogo, a raggiungere un accordo, così come essere cristiani, seguaci di Cristo, significa esercitare, in forza del proprio Battesimo, la funzione sacerdotale, mediare tra Dio e gli uomini, portare a Dio la preghiera per gli uomini e soprattutto, insegnare agli uomini ad ascoltare e conoscere Dio.

Un esempio commovente di  questo tipo di mediazione, lo troviamo nei vangeli sinottici, cito il passo di Marco che, insieme al parallelo di Luca più che di Matteo, ben focalizza il ruolo di mediazione dei quattro amici del paralitico.

Essi si recarono da Gesù portando questo paralitico ma non potendosi avvicinare a lui a causa della folla, salirono sul tetto della casa, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava, salirono il lettuccio a braccia, calarono infine il lettuccio col paralitico davanti al maestro.

Quest’abnegazione nel perseguimento degli obiettivi incoraggia il lavoro di noi “moderni” mediatori.

Quando a volte durante il percorso di mediazione la strada appare non percorribile, impraticabile, intasata, non bisogna darsi per vinti.

 L’opzione alternativa potrà essere trovata facendo ricorso al bagaglio delle nostre conoscenze e competenze, all’esperienza, ma soprattutto, i quattro amici del paralitico ce lo dimostrano, con un po’ d’ingegno e inventiva, e con una volontà ferma che ci porta a non scoraggiarci di fronte agli ostacoli ma a superarli con fiducia,  determinazione e professionalità.

Naturalmente tutto ciò richiede disponibilità al sacrificio e dispendio di energie. Non è facile salire su un tetto, scoperchiarlo, portare a mani nude lettuccio e peso morto del paralitico e calarlo dall’alto. C’è da sudare, e non poco.

Ma alla fine, i nostri sforzi producono un risultato. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico…il testo sottolinea che la fede non è quella del paralitico, i meriti non sono del paralitico, ma dei quattro amici. Anche la figura del mediatore dunque  deve impiegare tutti i nostri sforzi, anche quando la coppia sembra non rispondere, deve aiutarli, prenderli per mano, per portarli verso uno sviluppo della loro situazione.

       Il  passo di  Marco  letteralmente dice: Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.

       Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov`egli si trovava e, fatta un`apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».

       Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».

       Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell`uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». (Mc 2, 1-12)

Se le quattro persone che trasportano il paralitico si propongono come veri e propri mediatori per l’incontro tra questi e Gesù, tra la fede nell’intervento del Maestro di Nazareth e la risposta che si attende da lui di fronte a questo appello, nondimeno estremamente significative risultano essere proprio le parole di quest’ultimo.

Potendo scegliere tra la guarigione fisica e quella spirituale (“il perdono dei peccati”) Gesù sceglie la seconda, evidentemente ritenendola il dono più prezioso da poter elargire, anche a una persona malata!

Per noi mediatori questo si chiama focalizzazione della priorità degli obiettivi.

Apparentemente, primo obiettivo è soddisfare tutto quello che i due mediati ci chiedono. Anzi, anche quel che non ci chiedono a voce ma appare dal linguaggio non verbale sembra dovuto.

Cosa può desiderare un paralitico se non la guarigione fisica? Anche se non la chiede a voce, tutto l’ingegno dei quattro amici che sono arrivati a portarlo col suo lettuccio davanti al Maestro sarà, secondo il nostro pensiero, l’attestazione esplicita di un desiderio preciso a tal riguardo.

Cosa fa il mediatore? Il suo stile non è impositivo,non è decisionale. Il mediatore propone, invita ad esaminare le opzioni, aiuta la coppia ad esprimersi per delle soluzioni condivise.

L’informalità degli incontri di mediazione e l’approccio con il quale  il mediatore  si rivolge alle parti riduce la tensione a differenza delle procedure legali che  lo fanno aumentare di molto con il risultato di prolungare eccessivamente le dispute.[10]

Nondimeno, il mediatore non annuisce alle richieste di una o entrambe le parti, quando queste sono  fuorvianti dagli obiettivi della mediazione.

Può risultare incredibile che mi si doni la guarigione spirituale quando cerco quella fisica. Ma se è in mio potere donare l’una e l’altra, la mia è una scelta precisa e il significato è che la priorità non necessariamente è determinata dalla nostra risposta ai desideri, alle aspettative e alle richieste della coppia ma prima di tutto è determinata dalla nostra visione della situazione, in base alla nostra professionalità e alla nostra deontologia.

Importante a tal proposito  è saper distinguere i diversi ambiti e le differenze tra la mediazione familiare ,l’arbitrato e la consulenza familiare.

In particolare nell’arbitrato il terzo prende decisioni per le parti, mentre nella mediazione il mediatore si inserisce tra le parti ma non prende decisioni ,in quanto queste vengono prese dalle parti, come più volte abbiamo ricordato in questo testo. Nella consulenza familiare  il fine è quello di rispondere alle varie esigenze delle parti prese anche singolarmente su due versanti sociale e sanitario, ovvero funge da ausilio a tutti coloro che sono trattabili con la consulenza senza intervento di terapie psicoterapeutiche; sappiamo invece che la mediazione è attuabile solo in presenza delle due parti.[11]

Nel bagaglio fondamentale del mediatore ci deve essere la disponibilità, non solo nei colloqui iniziali ma durante tutto il percorso, a spogliarsi dei propri pre-giudizi e pre-concetti nei confronti di chi si sta seguendo. Tutto ciò può sembrare scontato, in realtà questo è sicuramente uno degli sforzi più importanti per l’impostazione, prima che delle sedute, della nostra stessa professione.

Ritengo significative a tal riguardo le affermazioni qui di seguito riportate.

       Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

       Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». (Mt 9, 10-13)

Una delle virtù più preziose, umane prima che professionali, è sicuramente quella dell’umiltà. Anche e soprattutto nell’esperienza della mediazione, tale virtù risulta oltremodo preziosa. Ecco qui di seguito parole che ci indicano suggerimenti utili per alimentare tale virtù.

       In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. (Mt 11, 25-27)

       In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. (Mt 18, 1-4)

La vita stessa ci insegna che la vera sapienza non è legata ai titoli di studio. Anzi, tanto spesso gli insegnamenti più profondi ci vengono proprio dalle persone meno istruite! Proprio la saccenza e la presunzione sono motivo di cecità e incapacità nella lettura delle situazioni.

La lotta per il primato, per i primi posti, per “la poltrona” che coinvolge anche gli uomini di Chiesa (“chi è il più grande nel regno dei cieli?”), viene disprezzata con l’indicazione di un modello umanamente insostenibile: non un adulto, non un potente, non un dotto, ma un piccolo, indifeso, ignorante bambino.

Le qualità proprie del bambino, evidentemente sottintese, sono: semplicità, purezza di cuore (assenza di malizia, di malignità), capacità di stupore, curiosità nella scoperta delle cose, disposizione ad affidarsi completamente nelle mani di un altro.

L’invito a convertirci a questo modello significa naturalmente focalizzare queste qualità, combattendo contro le nostre presunzioni.

Del resto, quando ciascuno di noi agisce come “maestro” degli altri ma non si sforza di disciplinare se stesso, la verità dei nostri limiti prima o poi verrà a galla:

            Non li temete dunque, poiché non v`è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. (Mt 10,26)

D’altronde il mediatore, dopo aver prodotto uno sforzo continuo nell’esame di sé stesso, e una verifica nell’andamento delle sedute di mediazione che svolge, dovrà anche essere chiaro, ogni volta che è necessario, con le incongruenze di chi vuole “essere mediato”.

       Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono:

       Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,

       abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.

       E` venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e hanno detto: Ha un demonio. E` venuto il Figlio dell`uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubbli-cani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere». (Mt 11,16-18)

Estremamente interessante risulta la pedagogia delle parabole: quando chi ascolta non vuole comprendere la verità, invece di imporgliela, è utile e a volte efficace proporgliela attraverso dei racconti che producono naturalmente effetti diversi, a seconda che l’interessato sia disposto a cercare la “morale della favola” o meno. Mi sembra utile riprodurre integralmente il “discorso in parabole” raccolto qui nel vangelo di Matteo.

Per spiegazioni e attualizzazioni, credo che un buon mediatore potrebbe trarne profitto, cogliendo l’insegnamento umano che va al di là dei contenuti prettamente teologici.

       Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».

       Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così a chi ha sarà dato e sarà nell`abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:

       Voi udrete, ma non comprenderete,

        guarderete, ma non vedrete.

       Perché il cuore di questo popolo

        si è indurito, son diventati duri di orecchi,

        e hanno chiuso gli occhi,

        per non vedere con gli occhi,

        non sentire con gli orecchi

        e non intendere con il cuore e convertirsi,

        e io li risani.

       Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l`udirono! (Mt 13, 10-17)

Egli parlò loro di molte cose in parabole.

       E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un`altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c`era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. Un`altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un`altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda». (Mt 13, 3-9)

       Un`altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l`una e l`altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». (Mt 13, 24-30)

       Un`altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».

       Un`altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».

       Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

       Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

       Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

       Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». (Mt 13, 31-33. 44-52)

E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità. (Mt 13,58)

«Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l`aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? (Mt 16, 2-3)

Il messaggio centrale che vuol passare è quello sulla chiamata alla disponibilità a rinunciare a qualcosa di proprio,  affermando che ogni ripiegamento su sé stessi porta inevitabilmente alla sconfitta.

 L’essere umano si realizza in quanto essere che entra in relazione, negare questo significa illudersi di poter vivere un’esistenza che non ha bisogno di nulla e di nessuno.

       Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

       Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l`uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l`uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell`uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell`uomo venire nel suo regno». (Mt 16, 24-28)

Chiudendo questo capitolo mi preme infine presentare le parole del vangelo che Gesù pronuncia a giudizio del divorzio. Pare siano parole inappellabili.

Pur tuttavia, nello stesso panorama delle diverse Chiese Cristiane, tale interpretazione risulta differente.

La Chiesa Cattolica ritiene il matrimonio indissolubile, a meno che non se ne dimostri la nullità, per vizio di consenso o mancanza di altri requisiti essenziali per la validità canonica dello stesso (ad esempio il rifiuto della prole).

Nella quasi totalità delle Chiese Protestanti il divorzio è accettato, in quanto lo stesso matrimonio religioso non ha una valenza sacramentale ma morale, soggettiva dunque e non oggettiva.

Le stesse Chiese Ortodosse infine, consentono un secondo e fino a un terzo matrimonio religioso, considerando però solo il primo “sacramentale” e celebrando le seconde nozze con un’interpretazione teologica “penitenziale”: i coniugi non sono stati in grado di perpetuare la loro unione matrimoniale, venendo meno alle loro promesse, ma non per questo è loro vietato di vivere l’esperienza di un nuovo matrimonio.

Il mediatore naturalmente non deve e non può fare giudizi morali sulla coppia ma è chiamato ad aiutarli a risolvere il loro conflitto con un accordo condiviso.

 Per la separazione o riconciliazione eventuale che sia.  

       Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.

       Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «E` lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio  li creò maschio e femmina e disse: Per questo l`uomo  lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola ? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l`uomo non lo separi». Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l`atto di ripudio e mandarla via ?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un`altra commette adulterio». (Mt 19, 1-9)

Viceversa, colpisce l’analisi di Cigoli che Specie negli Stati Uniti, incredibile dictu, sempre più numerosi sono i terapeuti che rimandano la coppia al patto coniugale a suo tempo istituito. Ciò non significa affatto opporsi al divorzio; significa piuttosto che i terapeuti nel loro lavoro cercano di creare uno spazio di riflessione in cui ciascun membro della coppia è invitato a tenere conto dell’impegno preso e a riconsiderare la «differenza» dell’altro. In termini relazionali parleremmo di un lavoro di articolazione tra diritti relativi al Sé e impegno nei confronti del patto stipulato con l’altro che si allarga alla famiglia d’origine e al corpo sociale.[12]

CAPITOLO III

LA MEDIAZIONE  E LE  SUE DINAMICHE

La parola mediazione nel corso del tempo ha subito molte variazioni, essa significa “essere in mezzo a”. Il suo primo impiego  risale all’epoca sumerica ed aveva un significato proprio religioso, ovvero con essa si intendeva l’intermediazione sacerdotale tra Dio e l’uomo.

In epoche più recenti il termine ha assunto un significato totalmente diverso ovvero di intervento destinato a conciliare le persone, le parti in causa.[13]

Le attività primarie riferite alla mediazione, come suggerisce Bonsignore, possono essere riassunte nell’isolare i termini della questione, sviluppare opzioni, considerare alternative e raggiungere una soluzione mutuamente accettabile dalle parti coinvolte. Esse sono attività che implicano e richiedono un buon livello di comunicazione, innanzitutto tra le parti e poi tra le parti e il mediatore. Quest’ultimo, poi, come è noto, deve compiere moltissime altre attività dirette ad implementare e facilitare il flusso degli scambi e delle informazioni in tutte le fasi del procedimento.[14]

Come già fatto fin qui, accosteremo anche in questo capitolo i contenuti della mediazione a citazioni sparse delle parole di Gesù. Il messaggio di queste è religioso, ma le sue implicazioni arricchiscono come suggerimenti preziosi, il bagaglio dei nostri strumenti.

Il Vangelo di Matteo, al capitolo 5, ci  riporta le parole di Gesù  quando  spiega il motivo della sua venuta. Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. (Mt 5, 17-18)

Per il mediatore  professionista strumento importante è l’ascolto attivo.

Ascoltare con attenzione cercando di capire quello che l’altra persona sente e vorrebbe esprimere. Ascoltare con l’obiettivo di comprendere a fondo il punto di vista dell’altro. Decodificare e comunicare anche i sentimenti nascosti dietro ai fatti. Se la decodificazione riesce, la persona che parla si sente veramente compresa ed avrà un quadro più nitido dei propri sentimenti.

Non abolire ma dare compimento può significare dunque ascoltare l’altro promuovendolo. Può significare altresì rilettura e trasformazione.

Dunque lo strumento della riformulazione.

Il mediatore è chiamato a intervenire riformulando in maniera positiva frasi e affermazioni espresse con ostilità dai mediati. Questo aiuta a correggere il clima ostile orientandolo verso l’apertura a un dialogo senza insulti e provocazioni.

Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. Perché osservi la pagliuzza nell`occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell`occhio tuo c`è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall`occhio del tuo fratello. (Mt 7, 1-5)

In queste parole ritrovo la tecnica del rispecchiamento.

Rispecchiare significa ripetere brevemente con parole proprie quello che l’altra persona ha detto. Questo fa sì che chi ci sta di fronte si senta compreso. Naturalmente nel brano su citato è focalizzato un rimprovero e non è questo il modo esatto di procedere in mediazione. Pur tuttavia colpisce l’affermazione che come pesiamo saremo pesati. È questa la tecnica del rispecchiamento: come specchi, riprodurre ciò che abbiamo ascoltato, appunto per guadagnare la fiducia di chi si sente così ascoltato.

E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c`era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». E Gesù gli disse: «Và, la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada. (Mc 10, 46-52)

In questo episodio, plasticamente descritto dall’evangelista Marco, ciò che mi colpisce è ancora una volta l’atteggiamento di Gesù: non presume la domanda del cieco, sebbene questa possa parere scontata. Cosa può desiderare un cieco da chi è in grado di provocare una guarigione, se non ricuperare la vista?

Eppure Gesù ritiene di dover chiedere esplicitamente all’interessato quale sia l’oggetto del suo desiderio.

Questo suggerisce al mediatore non solo la tecnica di saper porre domande per “condurre” lo svolgimento del dialogo; ma soprattutto coinvolgere il mediato facendolo sentire a suo agio perché si sente ascoltato e capisce che le sue domande vengono comprese ed accolte.

È importante mantenere fiducia nel raggiungimento di un risultato. Anche se la mediazione dovesse interrompersi prima del termine dell’itinerario previsto e senza che si sia arrivati agli accordi condivisi, comunque il lavoro svolto è un seme che ha portato dei primi miglioramenti: se i coniugi neanche si rivolgevano la parola, almeno adesso non hanno problemi a farlo…

Chiedere, bussare e cercare equivale a mettere il massimo impegno in questa ricerca sperimentando che a uno sforzo corrisponderà un effetto (comunque positivo, non foss’alto per l’impegno e la stessa nuova esperienza maturata).

       Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! (Mt 7, 7-11)

A noi piace pensare alla mediazione come un percorso che deve portare i protagonisti a una nuova mentalità, a una “nuova giustizia”, non quella delle norme pure e semplici, ma quella di un modo nuovo di entrare in relazione con l’altra parte, col rispetto, l’ascolto, lo sforzo del dialogo e della ricerca delle soluzioni condivise.

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. (Mt 5, 20-ss)

La tecnica della mediazione permette di avere strumenti adeguati per la risoluzione delle dispute e dei conflitti rispetto all’aumento della complessità delle regole e dei punti di vista, e può essere ben rappresentata dalla frase si vince solo se vincono tutti.

L’idea che sta dietro a questa affermazione è che non si può immaginare la convivenza nel segno della vittoria e della perdita, perché questo presuppone la storia scritta dai vincitori el’inconciliabilità di storie diverse.[15]

La cosiddetta “regola d’oro” che i vangeli ci presentano sulla bocca di Gesù, in realtà è una massima comune alle fonti scritte di altre Religioni, perché patrimonio del pensiero morale dell’umanità.

 L’invito di Cristo a non seguire le voci di “falsi profeti” possiamo leggerlo, in qualità di mediatori, come l’attenzione, da professionisti, a non lasciarci confondere da sollecitazioni varie, dei convenuti come di nostre eventuali errate valutazioni, per svolgere in maniera sempre più efficacie la nostra professione.

       Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti. (Mt 7,12)

       Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere. (Mt 7, 15-20)

L’episodio del “giovane ricco” illumina sulla dinamica che in mediazione è quella del porre le domande in modo da aiutare la coppia a confrontarsi con le possibili risposte. Il pericolo delle ricchezze, denunciato come impedimento ad “entrare nel regno dei cieli”, ci spinge a considerare che sempre, l’irrigidimento sulle posizioni, l’attaccamento ai nostri imprescindibili punti di vista, risultano da impedimento per qualsiasi soluzione dei conflitti.

Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

(Mt 19, 16 -26)

Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni. (Mc 1,35-39)

L’atteggiamento di Gesù ben ci fa capire le dinamiche della ricerca da parte dei mediati e della risposta che dobbiamo dare noi mediatori. Chi ci cerca può voler evitare la fatica del lavoro personale. La sua richiesta è che sia il mediatore a risolvere i problemi a “compiere il miracolo”. Bisogna che il mediatore sia disposto anche ad andarsene, ad interrompere la mediazione, se i suoi sforzi nel sollecitare i mediati a un duro e faticoso lavoro su sé stessi per giungere a una ricerca delle soluzioni finalmente condivisa dalle parti e non unilaterale viene respinta.

La domanda di Gesù sulla liceità nel fare il bene il giorno di sabato la leggiamo come un invito ad andare al di là dei nostri schemi mentali. Lo sviluppo delle situazioni non dipende semplicemente dalla nostra efficienza e bravura, perché bisogna riconoscere che tutto questo non dipende meccanicisticamente da noi ma va avanti da solo. Quel che conta naturalmente sono i nostri imput, gli stimoli che diamo, il seme che piantiamo, perché ci siano le condizioni di una crescita vitale rispetto alle situazioni di partenza.

Poi domandò loro: «E` lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». (Mc 3,4)

       Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura». (Mc 4, 26-29)

Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». (Mc 9, 23-24)

Le parole di Gesù illuminano continuamente la riflessione. Per quel che riguarda il tema del potere, della potenza, l’accento si sposta dalla onnipotenza divina alla possibilità che l’uomo possa raggiungere i risultati più difficili, basta che ci creda (nel contesto qui si fa appello alla fede del credente).

Naturalmente il punto di partenza per l’impostazione di una corretta mediazione familiare sta nella focalizzazione degli obiettivi reali rispetto a quelli emotivi e questo determina con buona probabilità il poter realizzare tali obiettivi.

Al fine di addentrarsi nel campo delle forme di aiuto alla coppia e alla famiglia, è importante sottolineare, dunque, che, dopo la separazione, il rischio è quello di essere totalmente proiettati sulla ricerca di comportamenti adeguati da mettere in atto, trascurando i cambiamenti emotivi che sono invece le vere mete da raggiungere.  Compete invece alle diverse prassi di aiuto offerte nel periodo successivo alla separazione, di far emergere i due versanti della questione: l’individuazione della nuova identità personale e la sofferenza peril legame che si tende e si strappa, permettendo così il mantenimento del senso di responsabilità e di appartenenza.[16]

Importante l’invito alla ricerca del bambino come risposta alla ricerca del primato umano, l’ammirazione per l’obolo della vedova, l’ammonizione a non legarsi alle certezze umane perché non resterà pietra su pietra, si presentano come consigli preziosi da aggiungere al nostro bagaglio di conoscenze e competenze.

Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l`ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:

       «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9, 33-37)

       E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12, 41-44)

       Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta». (Mc 13, 1-2)

       State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. E` come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all`improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!». (Mc13, 33-37)

La difficoltà di comprensione che passa nella comunicazione tra genitori e figli è raccontata dal terzo vangelo nell’episodio del ritrovamento di Gesù al tempio. La risposta di Gesù rimanda naturalmente a una realtà teologica. Ma la dinamica dei piani differenti di interpretazione di ciò che accade (preoccupazione genitoriale/serenità filiale) è raccontata in maniera chiara.

Le generalizzazioni e i consigli perdono pèrdono qualsiasi efficacia di fronte all’unicità di ciascun adulto e ciascun bambino, e di fronte alla molteplicità e alla varietà delle situazioni in continua evoluzione in cui si trovano tanto l’adulto educatore quanto il bambino che reagisce al modo in cui viene educato…

Il fatto che un genitore pretenda di far valere la sua visione di una certa situazione e insista perché il figlio ubbidisca alle sue regole non garantisce che il bambino le accetti veramente in cuor suo. Per quel che riguarda l’esperienza interiore, figlio e genitore seguono ciascuno le proprie regole, di solito senza che esse siano state rese esplicite, né a sé né all’altro. Inoltre, se è vero che ciascuno segue le proprie regole, è anche possibile però che le modifichi nel corso dell’interazione, senza avvertire l’altro, e di solito senza la minima consapevolezza di averle effettivamente cambiate e di come questo sia avvenuto. Né esiste alcun accordo chiaramente enunciato e compreso e liberamente accettato circa quello che costituirà l’esito desiderabile del rapporto genitori-figli.[17]

I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l`usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l`udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. (Lc 2, 41-50)

L’epilogo magistrale della parabola del Buon Samaritano ci presenta un procedimento argomentativo estremamente interessante. Alla fine del racconto, le parti si sono invertite. La domanda del dottore della legge: Chi è il mio prossimo? Viene corretta con una contro-domanda: come possiamo farci prossimo agli altri e in particolare a chi necessita del nostro aiuto.

       Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese:

       «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall`altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n`ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all`albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso». (Lc 10 29-37)

Tale invito a spogliarci dei nostri panni per rivestirci dei panni degli altri, focalizzando il nostro dovere di “farci prossimo” agli altri considerando i loro bisogni e necessità, richiama a una reciprocità nella trasmissione del bene che il dato evangelico attesta come necessaria.

L’essenza solidaristica che caratterizza la comunità familiare non può essere esasperata e condurre al “sacrificio” delle esigenze di un coniuge a favore dell’altro: l’interesse al rapporto coniugale proprio perché solidale, dev’essere di entrambi e non di uno soltanto dei coniugi… è certo che la solidarietà – e ciò una volta di più nell’ambito del rapporto familiare – esige, da un lato, la pretesa del soggetto alla realizzazione della propria personalità, dall’altro, e di conseguenza, il rispetto da parte di ciascuno (dei coniugi) di questa pretesa.[18]

L’invito alla ricerca di ciò che più essenziale presentato dall’episodio di Marta e Maria; l’affermazione che il conflitto può essere legittimo quando per evitarlo ci si spinge a ingiusti compromessi; l’insegnamento a non separare “i buoni” dai “cattivi” in base all’interpretazione delle disgrazie vissute; la richiesta ad assumersi la responsabilità delle conseguenze legate ad ogni occasione avuta ma personalmente rifiutata; sono questi i contenuti dei brani seguenti che possono anch’essi arricchire la riflessione per lo svolgimento della nostra professione.

       Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c`è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». (Lc 10, 36-42)

       Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D`ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre (Lc 12, 51-53)

       In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». (Lc 13, 1-5)

       Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: «Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!». Gesù rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All`ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all`unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c`è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena».

(Lc 14, 15-24)

Mi piace  concludere questo capitolo  con le “Parabole della misericordia”  al capitolo 15 del vangelo di Luca. L’epilogo ci tocca il cuore: questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!

Cosa non faremmo per riavere alla vita una persona cara scomparsa? Così l’insegnamento della misericordia ci invita a considerare l’altro non come un ingrato, egoista, che se ne è andato di casa, ma come una persona che si è smarrita ed è stata ritrovata, che avevamo perso e ora ritroviamo.

Anche gli ex coniugi, al termine di un corretto e sudato percorso di mediazione, potranno “ritrovarsi”, in una situazione certamente diversa da quella di partenza, ma con la soddisfazione e l’impegno di ricostruire la loro personale vita, partendo dal riconoscimento dell’altro non come un nemico ma come una persona con la quale, dopo il conflitto, si può voltare pagina e andare avanti.

       Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.

O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c`è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

       Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

       Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l`anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

       Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E` tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». (Lc 15, 1-32)

CAPITOLO IV

DALLA FUGA ALLA RESPONSABILITÀ

In questo capitolo vorrei focalizzare l’obiettivo primario del lavoro di mediazione, e cioè la sollecitazione della assunzione di responsabilità per entrambi i coniugi. Naturalmente tutti i brani biblici che cito sono focalizzati su questo invito. Direi che il primo passo che il coniuge deve compiere per iniziare a rendersi disponibile nel rinunciare alla guerra e ricercare un accordo è proprio quello di realizzare il danno e la sofferenza che stanno vivendo i figli come risulta più che evidente da quest’analisi di Annamaria Dell’Antonio:

Eppure la situazione del bambino è anch’essa critica soprattutto se non è preparato alla separazione e non ne comprende i termini. Frequentemente inoltre egli deve constatare la scarsa disponibilità di ambedue i genitori ad aiutarlo ad uscire dalle sue difficoltà: il genitore che ha abbandonato il nucleo non è solitamente in grado di di assicurargli sufficiente appoggio perché la non quotidianità della relazione con lui conduce ad un pressoché inevitabile allentamento del loro rapporto reciproco.

Ma anche il genitore che rimane accanto al figlio può essere poco disponibile nei suoi confronti, dedicando le sue attenzioni e le sue energie prevalentemente – se non esclusivamente – alla risoluzione della sua crisi personale[19].

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «E` andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch`egli è figlio di Abramo; il Figlio dell`uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Lc 19. 1-10)

Luca insiste sull’avverbio oggi: oggi la salvezza è entrata in questa casa. Questo avverbio ricorre in diversi punti del vangelo. Uno dei più significativi è la promessa del paradiso al buon ladrone con lui crocifisso sul calvario: Oggi sarai con me nel Paradiso (Lc 22?…) I teologi lo chiamano: “L’oggi della salvezza”.

L’atteggiamento di Zaccheo dimostra il suo desiderio di cambiamento (ricerca di vedere Gesù) e il suo impegno a seppellire la vita passata con la sua disonestà per costruirne una nuova, più giusta. A questo lo porta il sentirsi coinvolto da una chiara attestazione di fiducia (oggi devo fermarmi a casa tua).

Per il credente lo “ieri” e il “domani” hanno senso solo in riferimento all’”oggi”, perché l’incontro con Cristo, la relazione viva con Lui, la salvezza, si realizzano pienamente “oggi”.

Il rapporto con il passato spesso impedisce di vivere il presente. Si vive di rimorsi o di rimpianti. Mentre i rimorsi, come credente, vengono pacificati dal riconoscimento dei propri  errori e dall’impegno a non reiterarli, i rimpianti sono le dinamiche più subdole che bloccano: “ai miei tempi le cose andavano così”, “prima le cose andavano bene, ora vanno male”, “se avessi fatto altre scelte le cose potevano andare meglio di come sono andate”.

Anche il futuro ha senso come progetto, come obiettivi da raggiungere; ma diventa distruttivo del presente quando si fa ossessione; quando diviene ansia da prestazione si arriva ad evadere la realtà: “inizierò a vivere quando avrò superato i miei problemi, quando sarò guarito, quando avrò estinto i miei debiti. Non è questa la mia vera vita, oggi non mi piaccio come sono, ma la mia vera vita sarà una opposta a questa, che sogno di realizzare domani”.

Il mediatore ben conosce queste dinamiche.

In mediazione si evita di concentrarsi sul passato, sulle ragioni personali del conflitto, per lavorare sul presente, sulle proposte da prendere in considerazione per produrre un dialogo, dei punti d’incontro e degli accordi condivisi.

Il passato è  necessario solo in merito alla ricostruzione del presente come ci ricorda nel in queste parole Paola Re: Sulla genitorialità si focalizza l’intervento di mediazione familiare trattandosi, come detto, di un intervento che mira alla riorganizzazione delle relazioni genitoriali e al raggiungimento di accordi soddisfacenti per tutti: figli e genitori.

Rispetto alla genitorialità il focus è ancor più sul presente, con particolare attenzione alle funzioni e al livello organizzativo. Le basi di una nuova riorganizzazione poggiano però sul passato ed è per questo motivo che oltre alle predette “ storie” viene rilevata, con particolare attenzione, la storia della genitorialità prima dell’evento separativo oltre che quella attuale.

Per la costruzione di una nuova genitorialità, quindi, si lavora sia con riferimento al presente a livello concreto-organizzativo, a livello di funzioni e di aspettative,  sia rispetto al passato a livello  di comprensione della dinamica la quale permette di analizzare le risorse a cui attingere e da promuovere nonché di rilevare gli eventuali ostacoli. Entrambi detti aspetti devono,in ogni modo, subire delle trasformazioni in relazione all’evento separativo e al necessario disimpasto dell’incastro collusivo per quanto concerne la coppia.

Attraverso la storia della genitorialità si rileva la capacità, a suo tempo espressa ed attivata dalla coppia, di trasformarsi da diade a triade o, nel caso di più figli, di introdurre un nuovo nato nel sistema familiare. Si osserva la flessibilità messa in campo, intesa quale risorsa, necessaria per affrontare la nascita di un figlio: nascita che concorre ulteriormente a disilludere la coppia non solo perché introduce la genitorialità, o ne modifica ulteriormente l’assetto,ma soprattutto per una nuova distribuzione  economica degli affetti all’interno della coppia e della famiglia, anche allargata. Flessibilità altresì necessaria per affrontare i cambiamenti connessi alla separazione.

La genitorialità poggia su una dinamica tra mondo interno e realtà esterne, tra relazioni interiorizzate e relazioni reali; fa dunque riferimento ad una interazione complessa che si deve evolvere e modificare nel tempo, anche in relazione alle tappe di sviluppo dei figli e del ciclo vitale della famiglia, determinando progressivi mutamenti esterni ed interni.

Nella coppia, così come nel dispiegarsi della genitorialità, si rimettono in gioco modelli interni e si incontrano realtà interna ed esterna; non si dovrebbe però trattare di una semplice ripetizione e riedizione dei suddetti modelli, bensì di qualcosa di trasformativo. Quando la relazione non  evolve, ci si ritrova  dinanzi ad un inevitabile ritorno del passato in cui ognuno continua a mantenere dentro di sé un rapporto inalterato con la propria famiglia e i propri oggetti interni.[20]

Se pensiamo non debba essere faticoso il percorso che ci porta alla meta e se non siamo disposti a procedere perché desidereremmo vedere i risultati “tutti e subito” queste parole ci riportano alla consapevolezza della necessità della fatica nello svolgimento dell’iter di mediazione:

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano! (Mt 7,13-14)

Nelle immagini sotto riportate troviamo pienamente l’invito alla responsabilità che come mediatori per la nostra deontologia professionale e come mediati in quanto stimolati all’assunzione di atteggiamenti costruttivi e cooperativi per la soluzione dei conflitti, è fondamentale per il miglioramento delle relazioni all’interno delle famiglie, divise o non divise che siano.

       Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null`altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

       Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. (Mt 5, 13-16)

       Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». (Mt 7,24-27)

       Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

       Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qua». E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull`erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. (Mt 14,13-21)

L’espressione “Sale della terra e luce del mondo” è importante perché sottolinea il compito che abbiamo come protagonisti e spiega gli effetti legati alla bontà del nostro operato. Perché l’itinerario possa portare a risultati è importante che le fondamenta siano stabili (la casa sia costruita “sulla roccia”): fondamentale riconoscere i criteri di mediabilità di ogni caso, all’inizio del percorso ma anche in itinere, perché la mediazione possa essere svolta.

Nella parabola della moltiplicazione dei pesci e dei pani, colpisce la parola di Gesù: “date loro voi stessi da mangiare”. Quello che qui viene chiesto non è il miracolo, ma c’è un appello alla responsabilità personale che viene realizzato con l’azione susseguente: dopo aver moltiplicato i pani “li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla”.

Questo passo posto in parallelo all’attività di mediazione sembra spiegare che anche quando gli strumenti del nostro mestiere non dipendono da noi ma ci sono dati, sta a noi poi il compito di utilizzarli e metterli a frutto.

Anche il passo di Matteo ci suggerisce qualcosa di utile: Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. (Mt 14,29)

Camminare sulle acque significa fare l’esperienza di ciò che è impossibile all’uomo.

Se ci crediamo, possiamo affrontare le difficoltà più grandi senza affondare!

Nelle due citazioni seguenti, sottolineiamo la focalizzazione della verità reale rispetto a quella che la coppia vuole proporci o farci credere di sé stessa.

       Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! Non quello che entra nella bocca rende impuro l`uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l`uomo!».

       Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». Pietro allora gli disse: «Spiegaci questa parabola». Ed egli rispose: «Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l`uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l`uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l`uomo». (Mt 15,10-20)

       Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre». (Mt 12, 46-50)

Non è quel che appare a prima vista che conta o che corrisponde sempre alla reale situazione. Ciò che esce dalla bocca può rendere impuro l’uomo. (cfr. Mc 7, 14-23)

Nella domanda di Gesù: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Troviamo una rilettura delle relazioni, che qui è in chiave spirituale, ma a noi mediatori tale invito spinge allo studio della situazione delle relazioni familiari in particolare con l’ausilio dello strumento del genogramma.[21]

            Nel capitolo 18 del primo vangelo sono raccolti discorsi destinati alla vita della comunità ecclesiale. L’istruzione dettata sulle varie fasi della correzione fraterna risulta illuminante per le dinamiche relazionali dove, causa sentimenti di malessere per il male subito, le accuse precedono la correzione! Perché l’esperienza della relazione sia sana, il rimprovero davanti alla società deve essere solo l’ultimo stadio e non il primo! Esso deve essere preceduto dalle altre due fasi, altrimenti la relazione si risolve in un conflitto nutrito da accuse reciproche senza reale possibilità di correzione personale.

            La parabola del servo spietato ci ricorda che la vera difficoltà nel sopportare il male altrui sta innanzitutto nel non ricordare che a ruoli invertiti anche noi, per primi, non siamo semplici creditori ma reali debitori. Nel messaggio teologico la parabola suggerisce che mentre il credito è una somma comunque colmabile, il debito risulta quantificato da una cifra che è umanamente impossibile poter ripagare (debitori nei confronti di Dio).

Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all`assemblea; e se non ascolterà neanche l`assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.

       Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

       A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

       Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l`accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell`uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

(Mt 18, 15-35)

Il capitolo sesto di Luca ci presenta uno dei brani che gli studiosi ritengono essere gli ispissima verba: evidentemente tali parole, rispetto ad altri brani che si ritengono come il risultato finale della reinterpretazione e della attualizzazione delle parole di Gesù da parte delle prime comunità ecclesiali. Questo brano, evidentemente, non può non essere fedele alle parole originarie del Maestro, senza aggiunte o reinterpretazioni. L’invito ad amare i nemici, dunque, difficilmente può essere una proposta che viene dall’indole umana. Sono parole che travolgono i credenti forse molto più dei non credenti. Una fede vissuta senza perdono e amore dei nemici non è quella che il Cristo propone. Le considerazioni iniziali, evidentemente sul merito o non merito, sembrano coinvolgere la riflessione di tutti. Il merito sta proprio nello sforzo di accogliere l’altro, di sopportare proprio chi è causa delle mie sofferenze. Nell’ottica della fede, perché anch’egli è figlio dell’unico Dio. Nella mediazione perché il conflitto e la guerra porta effetti di distruzione e di morte; solo l’impegno alla ricomposizione del dialogo porta a ricostruire una relazione civile. Ma per poterlo fare il primo passo sta nelle predisposizioni interiori. L’odio, la rabbia, il rancore, il desiderio di vendetta sono ostacoli che impediscono qualsiasi ricostruzione.

Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l`altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dá a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell`Altissimo; perché egli è benevolo verso gl`ingrati e i malvagi.

       Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio». (Lc 6, 27-38)

Nella parabola dei talenti c’è un invito alla laboriosità e tenacia che anche noi mediatori vogliamo raccogliere per l’esercizio della nostra professione.

Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l`interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell`abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. (Mt 25, 14-30)

L’episodio dei discepoli di Emmaus risulta un insegnamento pedagogico sempre attuale: la metafora del viaggio, del cammino, ben rappresenta quella della vita umana. Anche noi, durante il nostro viaggio, siamo presi da esperienze che ci conducono a sofferte domande senza risposte. Anche noi non ci accorgiamo che a volte le risposte, come Gesù, camminano silenziosamente accanto a noi e ci pongono delle domande: Cosa vi turba? Qual è il motivo dei vostri affanni? Anche noi, come i due discepoli, mettiamo a tacere quelle voci quasi deridendole: Cosa volete saperne voi dei nostri problemi? Ma da dove venite? Alla fine, le risposte stesse vengono a trovarci a casa nostra. Dobbiamo solo aprire gli occhi per vederle.

Queste sono esperienze della vita umana. Il capitolo 24 di Luca ci parla dell’incontro col Risorto. Nelle domande che ho formulato nelle righe sopra possiamo ritrovare i sentimenti e le parole di chi viene in mediazione ma anche nostre personali in tanti episodi del nostro vissuto.

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l`hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l`hanno visto».

Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l`un l`altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz`indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l`avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Lc 24, 13-35)

La difficoltà di riconoscimento che caratterizza i racconti delle apparizioni del Risorto, ci può introdurre a quello che è il gap nella comunicazione tra le parti in conflitto che vengono in mediazione.

La comunicazione è la prima area interessata da un conflitto, espresso anzitutto dall’alterazione dei messaggi che ne deriva, e che si aggrava, spesso staccandosi dal tema originario, relegato sullo sfondo.

Ora, il conflitto sulla comunicazione ha la caratteristica di non essere mai sano: un conflitto è sano quando attraverso di esso emerge la diversità: i partner, e quindi anche il sistema da loro composto, raggiungono un nuovo e migliore livello di organizzazione (Carta 1996). Invece, nel conflitto comunicativo la cattiva qualità della comunicazione impedisce proprio che si comunichi correttamente sulle carenze della comunicazione: ecco che il conflitto della comunicazione diviene patologico, nel senso che la sua esistenza tende a mantenere la situazione, e quindi a perpetuarsi, costituendo addirittura un rinforzo dello status quo anteriore.[22]

Nel quarto vangelo, Giovanni utilizza il procedimento letterario del duplice livello di comprensione. Nelle nozze di Cana solo i discepoli conoscono la verità rispetto ai commensali. Nei dialoghi con Nicodemo e la Samaritana, Gesù fa delle affermazioni che vengono interpretate alla lettera. Ma il messaggio è ben più profondo e va oltre il primo livello di comprensione.

Cosi in mediazione bisogna sempre approfondire la situazione e verificare i livelli di comprensione o di scambio tra il mediatore e i mediati.

Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c`era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».

       Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: «Riempite d`acqua le giare»; e le riempirono fino all`orlo. Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l`acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l`acqua), chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un pò brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. (Gv 2, 1-11)

       C`era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall`alto, non può vedere il regno di Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t`ho detto: dovete rinascere dall`alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell`uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell`uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

       Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell`unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi o pera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. (Gv 3, 1- 21)

Gesù giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c`era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest`acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest`acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell`acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l`acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest`acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le disse: «Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?». La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui.

       Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». (Gv 4, 5- 30. 39-42)

Nell’episodio dell’adultera gli studiosi ci fanno notare un atteggiamento plastico di Gesù: come nell’episodio di Zaccheo, che si trova arrampicato sull’albero al passaggio del Maestro, qui il Signore si trova seduto per terra e dunque guarda la protagonista dal basso verso l’alto: è un atteggiamento non casuale, che teologicamente denota un modo di relazionarsi. Zaccheo, l’adultera, due persone che hanno vissuto l’esperienza del peccato, non vengono guardati dall’alto in basso, non vengono osservati dall’alto di un piedistallo, ma dal basso all’alto, e non per loro meriti, ma per una scelta precisa di Cristo. Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei: la mistica francese Marthe Robin, stigmatizzata, ha narrato di aver visto questo episodio in una visione. Gli uomini che circondano Gesù leggono incuriositi quel che lui stava scrivendo col dito per terra. Uno alla volta, sgomenti, hanno visto che quel che venivano scritti erano i peccati di ciascuno di loro! Quando hanno udito la risposta di Gesù non hanno potuto far altro che andarsene uno per uno.

Riconoscere che io non sono migliore dell’altro, che non ho il diritto di accusarlo perché anch’io sbaglio e sono causa di male per altri, è un passo importante per ricostruire una comunicazione evitando il meccanismo delle accuse reciproche e evitando di condannare a morte chi ha sbagliato, giacché nessuno di noi è scevro da sbagli.

Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all`alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell`interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch`io ti condanno; và e d`ora in poi non peccare più». (Gv 8,1-11)

L’episodio della guarigione del cieco nato inizia con una risposta che Gesù dà ai suoi discepoli: non si possono dare risposte umane al perché della sofferenza e della malattia, quel che conta nella vita non è cosa vivo, ma come sto vivendo. Non conta avere poche o molte prove, l’importante è come le affronto, l’importante è che io creda che la mia vita ha un senso anche quando vivo nelle prove e non soltanto quando e se io sia in grado di superarle.

  Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. (Gv 9, 1-3)

Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse? Nel celeberrimo episodio della risurrezione di Lazzaro colpisce che il Maestro ritardi la visita a casa dell’amico. Sembra quasi si disinteressi della sua salute, della sua guarigione, del suo bene.

Questo atteggiamento vuole suggerire a noi mediatori che c’è un tempo giusto per ogni intervento. Le cose non vanno realizzate tutte e subito secondo le esigenze legate all’urgenza, ma realizzate comunque secondo una logica lungimirante.

       Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato».

       All`udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand`ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».

       Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell`ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo».

       Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov`era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l`avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?».

  Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l`ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». (Gv 11, 1-7.17-44)

CONCLUSIONE

Se ci si vuole aprire al Mistero l’incontro può avvenire solamente attraverso le domande. Accogliere queste ultime, significa già riconoscere che non possediamo la risposta. Significa abbandonare i nostri giudizi su noi stessi e sugli altri, scoprire che non c’è necessariamente il bianco e il nero, il vero e il falso, il bene e il male. Ad una delle prime domande fondamentali: l’uomo è buono o cattivo?, non si può più rispondere che è buono o che è cattivo, poiché si scopre rapidamente che è contemporaneamente buono e cattivo.[23]

Le pagine di questo testo La spirito della mediazione della Morineau, con il quale mi trovo in profonda sintonia, costituiscono la premessa per la mia riflessione conclusiva e con queste pagine desidero richiamarmi a quel livello di ulteriorità al quale Gesù di Nazareth portava l’attenzione.

In questo lavoro è emerso quanto sia importante la mediazione, intesa come  processo collaborativo di risoluzione del conflitto, in cui le parti sono aiutate dal mediatore affinché  riescano a trovare   una risoluzione alle loro problematiche  comunicando tra loro.

Soprattutto abbiamo visto l’importanza del ruolo del mediatore, il quale assiste  le parti  per valutare le varie soluzioni possibili e qualora le condizioni lo permettano di  giungere a soluzioni che soddisfino gli interessi delle parti .

L’approfondimento sulle tematiche di mediazione ha permesso l’accostamento a quel personaggio storico Gesù di Nazareth, che con le sue azioni e la sua parola, sempre viva ed attuale, porta  ancora oggi  l’uomo contemporaneo a riflettere sul senso della propria vita e delle  relazioni con i propri simili.

Lungi dal definire leggi morali sulla falsariga del legalismo farisaico, l’annuncio evangelico fa appello a una disponibilità personale per un quotidiano cammino di superamento dei propri egoismi e per la promozione di una vita vissuta nel bene e nella tensione verso l’Alto.

L’atto della mediazione riporta sempre alla sua componente essenziale: la continua oscillazione tra i contrari. Il bene, il male, il persecutore, il perseguitato, la vita, la morte. Non ci sono più i buoni e i cattivi, poiché ognuno è contemporaneamente buono e cattivo. Proprio come la tragedia, la mediazione permette di superare il facile moralismo,il giudizio su chi fa il bene e chi fa il male. Uscire dalla dualità significa diventare adulti per poter incontrare la parte incompiuta di noi stessi ma anche l’essere in potenza.[24]

La frase celeberrima del Pontefice Giovanni XXIII: Bisogna condannare il peccato ma non il peccatore, ben ci trasmette l’essenziale del messaggio cristiano.

Il centro del messaggio di Gesù lo troviamo nelle parole dell’apostolo Giovanni: Dio è Amore (1Gv

In noi c’è l’esigenza di assoluto che implica necessariamente dei cambiamenti. Due forze avverse si confrontano nell’uomo: l’alienazione di Satana e la liberazione di Yaveh; ma l’uomo rimane libero di soccombere rispetto a Satana o di pervenire a quel capovolgimento che lo riporterà alle sue norme originarie .[25]

Sta proprio nella libertà personale l’occasione e la sfida di costruire e ri-costruire le proprie personali vicende di vita senza guardare all’altro come a un nemico ma come a una persona con la quale dover gestire una relazione; è questo l’obiettivo primario della mediazione e del lavoro del mediatore.

Tutta la vita di Gesù, possiamo considerarla una suprema mediazione non solo tra Dio e l’uomo, ma  esempio di mediazione tra l’uomo e uomo.

Possiamo dunque vedere in Gesù una forma elevata di mediazione; nelle  sue predicazioni non troviamo né comandi né consigli ma insegnamenti  che  hanno lo scopo di portare  l’uomo a trovare la giusta via, la via della pace e della giustizia, la via dell’incontro con Dio e con sé stesso.

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[1] Cfr. R.E. EMERY,  La verità sui figli e il divorzio, Milano 2008,  p. 29 e ss.

[2] Ibidem, p. 33-34.

[3] Gli stadi (modello di Bohannan). Le persone devono toccare sei stadi, risolvere i problemi a sei livelli, il mancato superamento delle difficoltà ad uno dei livelli può generare squilibri psicologici: 1) divorzio emotivo; 2) divorzio legale; 3) divorzio economico; 4) divorzio genitoriale; 5) divorzio dalla comunità; 6) divorzio psichico.

[4] L. PARKINSON,  La mediazione familiare, Trento 2009,  p.25-26.

[5]Cfr. V.CIGOLI – E.SCABINI, La mediazione familiare:l’orizzonte relazionale simbolico, «Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie», a cura di E. Scabini e G. Rossi, Milano 2004, p.33.

[6] Cfr. C. MARZOTTO, La mediazione nelle relazioni familiari,  «Le parole della famiglia», a cura di E. Scabini e G. Rossi, Milano 2006,  p.244.

[7] Cfr.  APFM Carta Europea della Formazione dei mediatori familiari, 1992.

[8] Cfr. C. SIRIGNANO, La mediazione educativa familiare, Roma 2010, p. 88.

[9] Cfr. L. PARKINSON,  La mediazione…, p. 99.

[10] Cfr. L.PARKINSON, L’esperienza inglese dei servizi di mediazione familiare, «Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie», a cura di E. Scabini e G. Rossi, Milano 2004, p.294.

[11] Cfr. M. CORSI – C. SIRIGNANO, La mediazione familiare: problemi, prospettive, esperienze, Milano 1999, p.33.

[12] V. CIGOLI, Psicologia della separazione e del divorzio, Bologna 1998, p.12.

[13] Cfr. J. MORINEAU, Lo spirito della mediazione, Milano 2003, p.19-20.

[14] V. BONSIGNORE, Il mediatore come comunicatore efficace, «Tecniche e strumenti per il procedimento di mediazione»  a cura di ISDACI,  Milano 2011,  p.51.

[15] R. GIOMMI, La mediazione nei conflitti familiari. Affrontare e risolvere i problemi all’interno della famiglia, nella separazione e nel divorzio,  Firenze 2002 , p.7.

[16]  C. GIULIANI, R. IAFRATI, C. MARZOTTO,  M. MOMBELLI, Crisi di coppia e separazione coniugale: effetti e forme di aiuto, Milano 1992,  p.116.

[17] Cfr. B. BETTELHEIM, Un genitore quasi perfetto, Milano 1987, p.16-17.

[18] F. RUSCELLO, I limiti di operatività del dovere di assistenza morale e materiale fra coniugi,  «Stadium Juris», (2000),  n. 2, p. 139.

[19] Cfr. A. DELL’ANTONIO in M. MALAGOLI TOGLIATTI, G. MONTANARI (a cura di), Famiglie divise. I diversi percorsi tra giudici, consulenti e terapeuti, Milano 1995, p. 9-10.

[20] Cfr. P. RE, La storia della coppia nel percorso di relazione familiare ,«Mediazione familiare. Temi e ricerche»,a cura diE. ALLEGRI, P. G. DEFILIPPI, Roma 2004, p.85-86.

[21] Cfr. S. MONTAGANO, A. PAZZAGLI, Il genogramma, Milano 1989, 214 p.

[22]  F. PASTORE, L’amore e il conflitto,  Roma 2008,  p.82-83.

[23] J. MORINEAU, p. 91.

[24] Ibidem, p. 106-107.

[25] Ibidem, p. 110.