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PERCHÈ PERDONARE SIGNIFICA TORNARE ALLA VITA

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/quando-perdonare-significa-tornare-alla-vita/

Ho avuto occasione di conoscere Cesare Israel Moscati[1] nell’ambito di un suo progetto proposto agli studenti delle scuole superiori molto interessante, un documentario che ha realizzato l’idea e l’intuizione di far incontrare i nipoti delle vittime dei campi di concentramento nazisti con quelli dei loro aguzzini. In questi incontri c’è un riconoscimento del dramma e la richiesta di perdono da parte dei nipoti dei soldati tedeschi per quel che i loro avi avevano provocato.

Interrogato da me sul percorso che porta non solo ad accettare le scuse altrui – sebbene non riparative di quanto subìto – ma anche a concedere il perdono, il registra ebreo con veemenza, decisione, vigore mi rispondeva: “Mai! Professore, si possono accettare le scuse, si può accogliere il riconoscimento del male prodotto ma non si potrà mai e poi mai perdonare quel che la Shoà ha provocato!”

Recentemente, registro con estremo rispetto l’ammissione della stessa posizione da parte di una delle testimoni e delle personalità di più grande spessore umano e morale che il nostro paese annovera, la senatrice Liliana Segre[2].

Ritengo che l’annuale Giornata della Memoria[3] sia una occasione importante non solo per riflettere sugli eventi della Shoà ma anche per riconoscere tutti quei genocidi dimenticati e taciuti che si sono verificati e continuano a verificarsi purtroppo in varie regioni della Terra.

Indubbio il dramma indicibile che i protagonisti hanno subìto e hanno trasmesso con i loro vissuti alle loro famiglie e alle loro nazioni.

Tali drammi divengono una occasione per proporre una riflessione ulteriore: quella sulle dinamiche che portano a confrontarsi, nell’ambito dei percorsi per la ricostruzione delle vite dopo le violenze subìte, sulla possibilità di realizzare reali processi di perdono.

Per introdurre la riflessione su questo argomento, ritengo sia necessario transitare da un soggetto collettivo (una nazione, una popolazione, un’etnia) a quel soggetto che coincide con ogni singolo individuo.

È chiaro che, se è vero che il perdono lo si può chiedere ad una collettività, ad una pluralità di soggetti e di persone offese da un delitto (è indubbio che i genocidi possano assumere ampiezze e dimensioni che abbracciano lo spazio e il tempo e i cui numeri si determinano in maniera drammaticamente esponenziale) e se nella storia non son mancati esempi significativi a riguardo (ritengo una pagina enorme quella proposta da Giovanni Paolo II con la Purificazione della Memoria[4] durante il Grande Giubileo del 2000), è pur vero che l’atto del perdonare e del concedere il perdono, prima che un atto giuridicamente normato (amnistia, grazia[5]) è e rimane un atto il cui soggetto è l’individuo singolo e le cui dinamiche possono essere riconosciute come profondamene umane[6].

Parlando di perdono, balza alla mente la domanda di Pietro a Gesù di Nazareth: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». (Mt 18, 21-35)

La risposta naturalmente suggerisce che non ci debba essere una misura né un limite nella disponibilità a perdonare. La parabola esplicativa illumina sulla consapevolezza di essere in debito più di quanto si possa ritenere di essere in credito a tal riguardo. L’orizzonte è naturalmente quello di una prospettiva teologica.

Indubbiamente, il messaggio cristiano si colora di un proprium che lo caratterizza in maniera innegabile: uno dei cosiddetti ipsissima verba è proprio l’invito di Gesù a l’amore per i nemici.[7]

Fino a che punto è possibile perdonare per il male subìto?

Forse si sarebbe disposti a farlo se siamo noi le vittime. Ma se le vittime sono i nostri cari o persone innocenti, la cosa diventa più pesante.

È possibile perdonare una persona che ha levato la vita a tuo figlio?

Questa domanda, netta, tagliente, impietosa, è quella che io pongo ai miei studenti dopo aver proposto loro la visione di un film del 1995 che ritengo prezioso, Dead man walking[8], con Sean Penn e Susan Saradon (Oscar 1996 come miglior attrice protagonista), ispirato alla vicenda di suor Helen Prejean.

Il tema del film è, prima di quello del perdono, quello dei molteplici percorsi di “riposizionamento”, di “trasformazione”, di “conversione” dei suoi protagonisti: dalla suora, che parte con le migliori intenzioni nello svolgimento della sua “missione” ma deve scontrarsi con una realtà più complessa di quanto possa apparire, quanto sono singolari le vicende di tutti i suoi attori e deve, naturalmente, fare i conti con i suoi limiti e le sue debolezze; all’assassino, che partirà dal suo attaccamento alla vita e dai suoi tentativi per conservarla, da una vita senza alcuna dignità, macchiata dalla bruttura per la mancanza di ogni “timor di Dio” e di alcun rispetto verso il suo prossimo (egli si sente “vittima del sistema” e in diritto di rivalere un suo “credito” verso la società) fino ad una vera e propria conversione finale, che gli permette di tornare ad essere un uomo veramente libero, nell’atto del riconoscere e confessare la verità del male compiuto e di chiederne perdono.

Soggetti centrali, nel racconto, sono proprio i genitori delle vittime. Con due esiti diversi. Quello di chi rifiuta ogni possibilità di perdono, negandolo anche nell’epilogo, quello che precede l’esecuzione capitale; il pretendere e cercare la vendetta, il sangue, la morte, l’occhio per occhio, dente per dente, lascia però aperta una domanda, che per l’osservatore attento appare retorica: potranno trovare la pace i genitori delle vittime una volta che il loro lutto sarà vendicato col sangue?

Evidentemente no. Perché – la rappresentazione dei protagonisti filmici lo suggerisce – la rabbia, il rancore, l’odio, una volta eliminato violentemente l’autore del male subito (che egli abbia riconosciuto la sua colpa o meno), difficilmente potrà cedere il posto ad una vera pace; molto probabilmente quello che prenderà il sopravvento sarà piuttosto un tragico sentimento di disperazione: quello di chi conserva il suo lutto e inoltre non ha più tra le mani il soggetto che lo ha provocato.

Perché dunque il perdono potrebbe essere, davvero, un percorso liberante e rivitalizzante?

C’è un testo magistrale illuminante, quello di Giovanni Paolo nel II suo messaggio per la XXX Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1997: Offri il perdono, ricevi la pace[9].

Il perdono vero non va né contro la verità né contro la giustizia. Le pretende. Non può prescindere da esse. Questo l’insegnamento biblico, questo il dettame della teologia morale cristiana. Il vero perdono non si oppone né alla verità né alla giustizia. A cosa si oppone? Al rancore, alla rabbia, all’odio, al desiderio di vendetta, al rispondere al male con il male, alla violenza con la violenza, alla prevaricazione con le ragioni della forza.

Naturalmente, la via della non-violenza, la beatitudine degli operatori di pace, la liberazione che solo nella verità e nella giustizia si compie nell’atto sovra-umano e ultra-umano del perdono (perché – umanamente – la risposta alla domanda: “si può perdonare chi ti ha ucciso un figlio?” è -umanamente: “Mai!”) è una possibilità che va al di là ed oltre ogni umana prospettiva.

Nel film tale percorso è assunto dall’incontro della suora con il padre di una delle vittime, e si ammette che quello del perdono non è un evento puntuale, non si riassume in una dichiarazione ma è un lento e faticoso cammino di conversione e di assunzione di consapevolezza.

Ricordo come ieri una testimonianza toccante, trasmessa da un giovane angolano davanti a Giovanni Paolo II e i due milioni di giovani alla GMG a Tor Vergata il 19 agosto del 2000: il perdono per gli uccisori del fratello sindacalista come unica strada alternativa alla via della violenza della guerra civile[10].

Se vogliamo, una parola illuminante è proprio quella espressa dal figlio dell’uomo sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34)

Da dove viene il male che ciascun uomo compie in maniera efferata, fino ad arrivare all’omicidio? L’etimologia del termine “cattivo” (captivus = “prigioniero”) e il messaggio di Gv 8, 34 (chi entra in abitudini distruttive ne diviene dipendente) si agganciano proprio alle parole elevate dalla croce: se l’uomo potesse avere la consapevolezza di quali saranno le conseguenze di ogni sua azione di male (od omissione di bene, nda) ci penserebbe non una ma mille volte. Per questo solo la verità, l’ammissione in coscienza del male provocato e la richiesta/concessione del perdono diventano una strada liberante e rigenerante. Per chi la chiede e per chi la dà.


[1]Israel Cesare Moscati (1951-2019)  https://moked.it/blog/2019/09/27/israel-cesare-moscati-1951-2019/
[2] Milano, Segre cita Levi: “Non perdono e non dimentico, ma non odio” https://www.youtube.com/watch?v=rAdZWRGr9RA

[4]Giornata del Perdono (12 marzo 2000) http://www.vatican.va/jubilee_2000/jubilevents/events_day_pardon_it.htm

[3] https://www.un.org/en/holocaustremembrance/docs/res607.shtml

[5] https://www.treccani.it/enciclopedia/amnistia-e-indulto-diritto-costituzionale/

https://www.iusinitinere.it/amnistia-grazia-indulto-differenze-ed-applicazione-dei-singoli-istituti-3538

[6] Il perdono come modello dell’azione umana in Hannah Arendt

https://ignotus.it/index.php/2018/12/20/il-perdono-come-modello-dellazione-umana-in-hannah-arendt/

[7] 27Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. 29A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. 30Dà a chiunque ti chiede e a chi prende del tuo, non richiederlo. 31Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. 32Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 33E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. 34E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. 35Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.

36Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. 37Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; 38date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio». (Lc 6, 27-38)

[8] https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/dead-man-walking—condannato-a-morte/28157/

[9] http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/messages/peace/documents/hf_jp-ii_mes_08121996_xxx-world-day-for-peace.html

[10] https://www.agensir.it/quotidiano/2000/8/19/gmg-tor-vergata-le-testimonianze-alla-veglia/ Purtroppo non son riuscito a reperire sulla rete la trasmissione dettagliata della veglia di preghiera a Tor Vergata.

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